"La
scuola del terzo millennio"
- FESTA TRICOLORE
MILANO -
28 GIUGNO 2002
Intervento di Letizia Moratti, Ministro dell'Istruzione
Una scuola europea,
un'università europea, un sistema europeo di formazione, una scuola che
recupera fortemente la sua missione sociale di grande educatrice: ecco le "risposte
possibili" alla domanda "quale scuola per il terzo millennio" che ci siamo posti
questa sera.
Per quanto riguarda la prima missione della scuola, quella europea, è
giunto il momento di dare vita ad un grande progetto per l'educazione e la formazione
professionale che si ispiri al patrimonio di valori comuni, alle tradizioni
di cultura e di civiltà che ci legano profondamente gli uni agli altri.
I sistemi educativi e formativi dei paesi europei saranno chiamati nei prossimi
anni a formare gli uomini e le donne ed a fornire loro conoscenze e competenze
tecniche necessarie per i grandi cambiamenti che ci aspettano: dall'allargamento
degli attuali confini dell'Unione Europea alla rifondazione ed al consolidamento
delle istituzioni che presiedono al suo sistema democratico.
Rinviare questo progetto educativo e formativo significherebbe non soltanto
compromettere le prospettive di stabilità politica e di sviluppo sociale
di un'Europa allargata, ma porterebbe anche ad accrescere i rischi e le incertezze
legate ad un ciclo di crescita economica internazionale ormai indissolubilmente
legato alle capacità di produrre conoscenza.
Nelle discussioni che si sono aperte tra i Ministri europei dell'istruzione
e dell'università vengono proposti traguardi molto ambiziosi:
- migliorare i sistemi di istruzione e formazione dell'Unione
Europea con l'obiettivo di fare dell'Europa un termine di riferimento mondiale
per qualità e pertinenza educativa;
- dare ad ogni cittadino europeo libero accesso a tutti i
sistemi di istruzione e formazione nell'intero arco della vita;
- aprire i sistemi di istruzione e formazione europei al resto
del mondo, in modo che l'Europa diventi meta favorita di studenti, studiosi
e ricercatori di altre regioni;
- sostenere una visione dei processi educativi e formativi
che tenda a superare le antiche contrapposizioni tra equità sociale e
competizione individuale, tra partecipazione e responsabilità, riconducendo
ad un principio unitario e condiviso i concetti della qualità e della
solidarietà.
Si tratta, come potete capire, di obiettivi di medio e lungo termine che richiederanno
un eccezionale impegno politico ed organizzativo. La nostra convinzione di poter
riuscire in questo sforzo sta nel constatare che lo spazio europeo dell'istruzione
e della formazione - alla cui formazione l'Italia intende partecipare a pieno
titolo - é oggi il punto ideale di raccordo dei progetti culturali, tecnologici
e scientifici e punto di partenza di ogni progetto sociale ed economico.
Scuola, università e strutture di formazione costituiscono il "luogo"
ove potranno confluire i progetti che tendono a migliorare le opportunità
di lavoro e la mobilità degli studenti, a facilitare la circolazione
dei saperi e l'integrazione delle professioni, internazionalizzando gli studi
e i corsi di formazione, a migliorare i processi di acquisizione delle conoscenze
e delle competenze e, infine, a potenziare i sistemi di riconoscimento delle
qualifiche professionali e dei titoli di studio.
La politica educativa e formativa non é ancora oggi una delle politiche
comuni dell'Unione Europea - a differenza della politica monetaria o di quella
sui mercati e sulla concorrenza - ma la novità recente é appunto
la decisione che é stata presa di tentare una progressiva unificazione/integrazione
delle politiche nazionali, fissando obiettivi concreti da realizzarsi nel periodo
2004-2010. Macro-obiettivi di carattere generale, di "policy making", accompagnati
da "targets" specifici e indicatori condivisi che permettano d misurare le migliori
pratiche nazionali in materia di competenze di base, di livelli medi di apprendimento
matematico e scientifico, di competenze tecnologiche, di qualità e formazione
dei docenti, di mobilità degli studenti tra scuole e università
europee e di utilizzo delle risorse economiche.
Tutti questi obiettivi "comuni" sono destinati a divenire, un giorno non più
lontano, riferimento obbligato per determinare la qualità dei sistemi
educativi e formativi nazionali.
I nostri progetti di riforma del sistema educativo e formativo nazionale sono
perfettamente allineati agli obiettivi che si vanno definendo per una politica
europea dell'istruzione e della formazione ed anzi rappresentino, per alcuni
aspetti, una frontiera avanzata in questo faticoso e irrinunciabile processo
di cambiamento. Basti citare i punti fondamentali che hanno ispirato la nostra
riforma:
L'Italia é
dunque pronta a svolgere un ruolo di protagonista, dando pieno appoggio alla
realizzazione di un grande progetto comunitario. E in questo senso, nelle scorse
settimane abbiamo concordato con i nostri partner un impegno concreto che ritengo
di grande importanza: porre la formazione professionale al centro dei nostri
sistemi educativi e fare della formazione lo strumento di integrazione delle
politiche nazionali.
Ci siamo associati fra i primi a questo progetto, creando le premesse per l'adesione
di molti altri Stati membri dell'Unione, perché siamo convinti che vi
sia in Europa un urgente bisogno di nuove competenze qualificate, soprattutto
nel campo tecnico-scientifico, coerentemente con le richieste che emergono dal
mercato del lavoro e dalle nuove esigenze in relazione alla qualità della
vita, della salute, dell'ambiente.
I due progetti-pilota finora approvati riguardano settori di forte interesse
per il nostro Paese, come il turistico-alberghiero e la logistica nell'industria
dell'automobile. Progetti realizzati insieme alla Francia, Germania e Grecia.
L'Italia è leader in progetto finalizzato alla creazione di poli formativi
di eccellenza per la costruzione di qualifiche professionali reciprocamente
riconoscibili sulla base di percorsi costruiti consensualmente dai paesi partecipanti,
in aree come:
design industriale, moda, restauro, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale,
ristorazione e valorizzazione delle produzioni locali tipiche.
Con questo primo atto, destinato a facilitare la mobilità di studenti
e lavoratori, diventa più concreto e vicino il traguardo della definizione
di qualifiche e titoli professionali nazionali reciprocamente riconoscibili
a livello europeo sulla base di percorsi formativi costruiti di comune accordo
e ciò ci fa pensare che sia possibile puntare in tempi non troppo lunghi
anche alla creazione di uno "spazio europeo di apprendimento continuo per l'intero
arco della vita".
Oggi siamo ancora ben lontani da questo obiettivo. La partecipazione degli europei
tra i 25 e i 64 anni di età all'istruzione e alla formazione é
soltanto dell'8%. Un'idea di Europa fondata sulla cultura, sull'istruzione e
sulla formazione delle competenze pone dunque una sfida di importanza storica:
progettare e realizzare tutti insieme un quadro radicalmente nuovo dell' apprendimento
permanente. La formazione permanente deve diventare uno strumento centrale nelle
nuove politiche del lavoro, garantendo un costante aggiornamento e riqualificazione
di chi sta nel mondo del lavoro che cambia continuamente e richiede aggiornamenti
continui. Per noi la formazione permanente è il vero ammortizzatore sociale.
Dobbiamo, inoltre, fare sì che ogni giovane europeo possa arricchire
il proprio bagaglio culturale decidendo di intraprendere un nuovo ciclo di studi
in un diverso paese oppure di impegnarsi in un periodo di formazione, in un'attività
di volontariato o di insegnamento lontano dal proprio luogo d'origine. Su questa
strada vi sono tuttora numerosi ostacoli giuridici e amministrativi che dobbiamo
superare sia nell'ambito dei programmi comunitari - "Erasmo", "Socrate", "Leonardo",
"Gioventù" - sia al di fuori di questi.
Penso alla necessità di promuovere lo sviluppo di dispositivi di sostegno
finanziario alla mobilità degli studenti, come indennità, borse
di studio, sovvenzioni, prestiti. Oppure alla necessità di realizzare
un'effettiva trasferibilità delle borse di studio e degli aiuti nazionali.
E, infine, di facilitare il trasferimento dei crediti universitari e il riconoscimento
a fini accademici, nello Stato membro d'origine, del periodo di studi intrapreso
in un altro paese.
In questo contesto, l'Italia é fortemente impegnata nel dibattito in
corso in sede comunitaria per la creazione di uno "spazio dell'istruzione superiore"
che verta su 5 punti:
- l'adozione in tutti i paesi dell'Unione Europea di un sistema
di titoli basato essenzialmente su due cicli, rispettivamente di primo e secondo
livello;
- il consolidamento di un sistema unificato di crediti didattici
acquisibili anche in contesti diversi;
- la promozione della cooperazione europea nella valutazione
della qualità dei sistemi educativi e formativi;
- la definizione di un sistema di titoli di semplice leggibilità
e comparabilità;
- la promozione di una dimensione europea dell'istruzione
con particolare riguardo allo sviluppo dei piani di studio, alla cooperazione
fra istituzioni scolastiche e universitarie, agli schemi di mobilità
ed ai programmi integrati di studio.
Anche su questo fronte l'Italia é oggi in prima linea. Al progetto europeo
stiamo infatti dando un'adesione non solo formale, ma sostanziale ed offriamo
l'importante contributo delle riflessioni che stanno maturando in questi mesi
all'interno del nostro contesto nazionale grazie al processo di ampia consultazione
che abbiamo aperto con docenti, studenti, genitori e con tutte le componenti
della società civile impegnate attivamente nel campo dell'istruzione
e della formazione.
Ho avuto modo di spiegare in più occasioni quale tipo di scuola stiamo
progettando in Italia. Una scuola europea nella sua ispirazione, ma radicata
in un'identità nazionale solida, consolidata, condivisa. Una scuola europea
nella sua visione comunitaria, ma capace di difendere e nutrire le tante identità
locali che nel nostro Paese, come negli altri paesi europei, rappresentano un'inesauribile
risorsa strategica. Una scuola, dunque, che sappia costruire un'identità
unica nella molteplicità delle culture, senza negare, anzi esaltando,
il valore delle diversità.
Una scuola europea, nazionale e locale é infatti la scuola che il nuovo
ordinamento dello Stato si chiede di progettare.
Siamo da secoli un insostituibile "laboratorio" di saperi tecnico-scientifici
e di culture umanistiche e i molti fattori di eccellenza che possiamo oggi vantare
in questi campi testimoniano della posizione assolutamente strategica che il
nostro Paese ricopre nello spazio europeo dell'istruzione e della formazione
che si sta delineando.
Ma la grande missione europea della scuola italiana va affiancata all'altra
missione, quella di educatrice della gioventù, di inclusione e crescita
delle giovani generazioni. Esistono rischi di disuguaglianze e di esclusioni
sociali che in Europa e in Italia non sono stati scongiurati, se guardiamo all'effettivo
livello di partecipazione all'istruzione di base. Nel 2000 la proporzione di
cittadini europei compresi tra i 24 e i 64 anni di età che avevano raggiunto
almeno un livello di istruzione secondaria superiore era soltanto del 60,3%.
Quasi 150 milioni di persone nell'Unione Europea, prive di u n livello di istruzione
di base, sono ancora oggi esposte ad un alto rischio di emarginazione.
Oggi le forme di disagio sono diverse, meno legate a situazioni sociali ed economiche
di quanto accadeva un tempo: riguardano la fragilità delle personalità
individuali, la precarietà delle identità personali, le difficoltà
a trovare motivazioni ed interessi, il forte relativismo presente nella nostra
società che rende ogni decisione reversibile ed ogni opinione discutibile.
Disagi che nascono da un rapporto più difficile tra adulti e ragazzi,
da un inserimento più difficile in un mondo dove le relazioni umane sono
meno profonde e più dispersive e avvengono nel silenzio affettivo di
molte famiglie e nella proiezione sui ragazzi delle paure e delle incertezze
avvertite dagli stessi genitori e spesso anche dagli insegnanti.
Rispetto a 20 o 30 anni fa, oggi i ragazzi soffrono maggiormente della crisi
della famiglia e dell'indebolimento del ruolo educativo della scuola. Così,
le nuove generazioni ci appaiono in qualche modo più "evolute" ma anche
più "impaurite", più "fredde" e "pragmatiche", ma anche più
"fragili". I giovani di oggi vivono un'epoca caratterizzata da straordinarie
opportunità di apprendimento ma proprio questa sovrabbondanza di stimoli
informativi limita l'approfondimento e la ricerca dei valori universali. Per
questo molti giovani sembrano aver smarrito le differenze tra bene e male, giusto
e ingiusto, lecito e illecito che hanno la loro prima radice nell'identità
individuale.
Sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno, si sta così consumando una
vera e propria "emergenza sociale" della quale, tuttavia, da qualche tempo si
parla sempre meno. Quasi che si stia diffondendo una certa assuefazione collettiva
a considerare il disagio giovanile un dato ineluttabile della nostra società.
E' questo silenzio tacitamente accolto che mi turba profondamente.
La scuola che negli ultimi decenni ha privilegiato il sapere rispetto al saper
essere e al saper fare deve recuperare così fortemente la sua missione
educatrice. Dunque, il suo compito cambia. Gli insegnanti, vengono chiamati
a diventare dei veri e propri "tutor" capaci di aiutare i giovani nella crescita
e nello sviluppo della propria personalità; di sostenerli nei momenti
delicati del loro percorso educativo e formativo, prima di un esame oppure quando
si tratta di scegliere tra diversi indirizzi di studio.
Solo una scuola che saprà educare ai fondamenti etici della vita - la
solidarietà, la responsabilità personale, gli ideali, i valori,
la tradizione, l'importanza della relazione con gli altri - potrà dare
risposte ad un numero crescente di giovani sui quali pesa oggi un grande senso
di abbandono e di estraneità. Se la scuola fallisce in questo compito,
la maturazione culturale e la maturazione affettiva dei nostri ragazzi vengono
compromesse.
L'analfabetismo di base è un fenomeno che appartiene al passato, ma oggi
corriamo il rischio di vedere aumentare l'analfabetismo dei valori e dei sentimenti.
La scuola deve assumersi un impegno che va ben al di là del proprio compito
"professionalizzante" e contribuire a valorizzare le specificità delle
diverse età evolutive della fanciullezza, dell'adolescenza e della gioventù.
Senza rivendicare egemonie o primogeniture, la scuola può diventare un
luogo di raccordo e di integrazione di diverse competenze e risorse, un punto
di collegamento tra i molti operatori del privato sociale, del non profit, del
volontariato che già oggi sono impegnati nel campo del disagio giovanile.
Le politiche giovanili richiedono oggi impegni concreti a vari livelli. E richiedono
un nuovo impegno da parte dello Stato per valorizzare l'apporto della società
civile per accompagnare processi di crescita delle nuove generazioni.