Nota ministeriale 17 febbraio 2006


 

Prot. n. 287/Dip/Segr.

All'On. Silvia Costa - Assessore Istruzione, Diritto allo Studio e Formazione
Regione Lazio - Via Cristoforo Colombo, 212 - 00147 ROMA

Oggetto: Progetto di innovazione in ambito nazionale. (D.M. 31/1/2006, n. 775)

Con la presente nota si fa riferimento alla lettera datata 8 febbraio, trasmessa, per conoscenza, al Direttore generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio e ai Dirigenti degli Istituti di istruzione secondaria di II grado del Lazio, con la quale si lamentano illegittimità, criticità e incongruenze nel D.M. 31 gennaio 2006, n. 775 concernente "Progetto Nazionale di innovazione", diffuso sul sito ufficiale del MIUR unitamente ai decreti ministeriali del 28 dicembre 2005 e alla lettera circolare datata 1° febbraio 2006.
Le precisazioni di seguito fornite varranno anche a superare eventuali analoghe incertezze che potranno essere espresse in altri contesti regionali.
Si premette che con il D.M. 775/2006 si è inteso dare una concreta risposta a specifiche e pressanti richieste di sperimentazione di nuovi modelli ordinamentali liceali provenienti dalle istituzioni scolastiche, dopo la pubblicazione del decreto legislativo 226/2005, relativo al 2° ciclo di istruzione e formazione.
Sia le premesse che l'articolato del documento forniscono ampie e motivate indicazioni sulle ragioni e sulle specificità del progetto, che viene presentato come strumento idoneo a "realizzare, pur con diverse modalità di attuazione, coerenti con l'autonomia scolastica, una approfondita e puntuale riflessione sui vari ambiti di praticabilità dell'azione riformatrice, una accurata stima dei fabbisogni delle scuole in termini di strutture, personale e finanziamenti, nonché l'elaborazione di modelli più efficaci di organizzazione didattico-metodologica".
È appena il caso di sottolineare che, ai sensi dell'art. 11 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, il progetto si rivolge alle istituzioni scolastiche la cui adesione, del tutto libera e volontaria, è rimessa alla valutazione dei competenti organi collegiali.
Passando al merito della lettera, il primo rilievo poggia sull'assunto che "il D.M. 31 gennaio 2006 contrasta con l'art. 27, comma 4 del D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, che impegna il MIUR a non promuovere sperimentazioni del nuovo ordinamento della scuola, fino alla definizione di tutti i passaggi normativi propedeutici all'avvio del secondo ciclo".
In realtà, il citato comma 4 così recita: "Sino alla definizione di tutti i passaggi normativi propedeutici all'avvio del secondo ciclo, di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il medesimo Ministero non promuoverà sperimentazioni del nuovo ordinamento nelle scuole, ferma restando l'autonomia scolastica".
È quindi necessario e decisivo, ai fini di una idonea chiarificazione, chiedersi quali siano "i passaggi normativi propedeutici all'avvio del secondo ciclo di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca". Si tratta senza alcun dubbio dei provvedimenti individuati dal decreto legislativo 226/2005, art. 27, comma 1, ai sensi del quale "il primo anno dei percorsi liceali di cui al Capo II è avviato previa definizione, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza Unificata, dei seguenti aspetti:
a) tabelle di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore previsti dall'ordinamento previgente nei percorsi liceali di cui al presente decreto legislativo, da assumere quale riferimento di massima per la programmazione della rete scolastica di cui all'articolo 138, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
b) tabelle di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di istruzione secondaria di secondo grado dell'ordinamento previgente con i titoli di studio in uscita dai percorsi liceali di cui al Capo II;
c) incremento, fino al 20%, della quota dei piani di studio rimessa alle istituzioni scolastiche, nell'ambito degli indirizzi definiti dalle Regioni in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale in uscita dal percorso di cui all'articolo 2, comma 3".

Al riguardo spiace rilevare che si esprima rammarico per la mancata ricezione dei decreti suddetti, considerato che gli stessi furono inviati alla Conferenza Unificata il 17 novembre 2005, con il fermo proposito di avviare una comune riflessione, nel quadro di quella leale collaborazione che il Ministero non ha mai voluto interrompere e che, si auspica, possa continuare nell'ottica di rapporti proficui tra soggetti istituzionali e nell'interesse della scuola e degli studenti.
In effetti i suddetti provvedimenti sono stati presentati dal MIUR a tempo debito, con la nota n. 5162 U/L 1.3.1. del 17 novembre 2005, in sede di Conferenza Unificata. Il fatto che in quella sede la Conferenza non abbia inteso pronunciarsi, non poteva pregiudicare il diritto del MIUR ad emanare e a pubblicare i provvedimenti sopra menzionati nel rispetto delle procedure previste dalle norme vigenti.
Si ritiene importante rilevare al riguardo che, sulla materia disciplinata dal decreto legislativo 226/2005, art. 27, comma 1, non sussiste l'obbligo per il MIUR né di acquisire il parere della Conferenza, né di pervenire ad alcuna "preventiva intesa", bensì di "sentire" la Conferenza. Sentire non vuol dire esprimere parere, né stabilire intese, ma solo acquisire un riscontro, che, nella specifica circostanza, si è concretizzato nella volontà di non pronunciarsi.
Si rivela quindi priva di fondamento la obiezione secondo cui il MIUR non avrebbe rispettato "le procedure di preventiva intesa con la Conferenza Unificata". Al contrario, il MIUR ritiene di avere correttamente seguito le procedure previste con riferimento alla fattispecie in questione ed esprime semmai il rammarico che in sede di Conferenza Unificata non sia stato possibile entrare nel merito dei provvedimenti presentati.
Né può essere condivisa l'affermazione che sarebbe "evidente l'intenzione del Governo di procedere in un solitario processo al di fuori di ogni attenzione alle motivazioni più volte manifestate dalle Regioni". In realtà, il MIUR ha adempiuto pienamente all'obbligo di sentire la Conferenza Unificata sui provvedimenti più volte richiamati, la cui natura è squisitamente tecnico-ordinamentale. Non è certo ascrivibile al MIUR la decisione assunta dalla Conferenza Unificata di subordinare la propria risposta alla precisa definizione dei profili e degli ambiti della devoluzione che, come concordato con le stesse Regioni, avrebbero dovuto invece formare oggetto di esame e di valutazione da parte di un tavolo separato da costituire presso l'Ufficio affari regionali (vedi art. 28, comma 4 del decreto legislativo 226/2005).
È appena il caso di ribadire che il MIUR conferma la propria piena disponibilità a collaborare con le Regioni e gli altri soggetti coinvolti, singolarmente e in sede di Conferenza Unificata, per l'attuazione di quanto previsto nel decreto legislativo 226/2005, art. 27, commi 2 e 3.
Con riferimento all'assunto secondo il quale le Regioni non sarebbero "state poste in condizione di esercitare le proprie attribuzioni in materia di allocazione dell'offerta formativa rispetto al nuovo impianto ordinamentale", occorre precisare che il progetto di innovazione, proposto dal MIUR col decreto 775/2006, è cosa diversa dall'attuazione del Capo II e del Capo III del decreto legislativo 226/2005. E' fuor di dubbio, infatti, che l'avvio della riforma dall'anno 2007-2008 deve avvenire "nel quadro della programmazione della rete scolastica di cui all'articolo 138, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, finalizzata a far corrispondere l'offerta formativa complessiva alle esigenze formative del territorio di ciascuna Regione" (art. 27, comma 3).
Né con il progetto di innovazione proposto dal MIUR alle istituzioni scolastiche viene posto in discussione l'assetto dell'offerta formativa territoriale, che resta quella programmata dalle Regioni per l'anno scolastico 2006-2007.
Il progetto invece persegue scopi circoscritti e chiaramente indicati nell'art. 2, comma 1 del D.M. 775/2006, dal quale emerge la valenza didattico-pedagogica dell'impianto. In effetti le scuole che aderiscono al progetto assumono prioritariamente l'impegno di:
- articolare l'orario annuale delle lezioni in attività ed insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti, attività e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente e attività e insegnamenti facoltativi;
- progettare Unità di apprendimento caratterizzate da obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi e volte a garantire la trasformazione delle capacità di ciascuno in reali e documentate competenze.
Si tratta dunque di innovazioni per un verso di tipo organizzativo e per un altro di natura metodologico-didattica, che le scuole possono realizzare secondo modalità definite nel quadro di regole certe ed in coerenza con il principio dell'autonomia. In sostanza, il decreto 775 non solo impone il rispetto della distribuzione territoriale dell'offerta formativa, ma definisce in ambiti precisi le innovazioni da introdurre. Le scuole possono aderire al progetto anche deliberando di introdurre solo parzialmente le innovazioni ordinamentali previste dal decreto legislativo 226/2005 e comunque nel rispetto delle tabelle di confluenza e corrispondenza previste dal D.M. 28 dicembre 2005.
Quanto alla definizione della tabella di confluenza dei percorsi del vigente ordinamento in quelli previsti dalle nuove tipologie liceali, è bene chiarire che tale operazione si è rivelata particolarmente complessa, e non è ridotta ad un esame comparato e rigoroso tra il pregresso e il nuovo ordinamento.
È comunque evidente che solo l'attuazione del decreto legislativo 226/2005 renderà pienamente operativa la succitata confluenza, mentre l'attuazione del progetto di innovazione ha come finalità quella di consentire alle scuole la possibilità di sperimentare, a regime vigente, ai sensi dell'art. 11 del D.P.R. 275/1999, innovazioni coerenti con le previsioni di cui al Capo II del decreto legislativo 226/2005.
Vale precisare al riguardo che il citato art. 11 del D.P.R. 275/1999 non prende in considerazione la distribuzione territoriale dell'offerta formativa, ma fa esclusivo riferimento a "progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l'integrazione fra sistemi formativi, i processi di continuità e orientamento".
In tale quadro di riferimento la specificità del progetto di innovazione proposto all'attenzione delle scuole col decreto 775/2006 consiste dunque nella armonizzazione di due esigenze parimenti legittime: la prima, quella di garantire alle scuole l'esercizio del diritto di concorrere all'innovazione degli ordinamenti scolastici, la seconda, quella di rispettare le competenze delle Regioni in materia di distribuzione territoriale dell'offerta formativa.
Per quanto attiene all'affermazione secondo cui il decreto 775/2006 contrasterebbe con l'art. 3 del D.P.R. 275/1999 e, in particolare, col comma 5 del medesimo articolo, il quale stabilisce che "il Piano dell'offerta formativa è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all'atto dell'iscrizione", si osserva che la norma in questione risponde ad esigenze di carattere generale. Essa, infatti, intende tutelare l'interesse dello studente ad essere informato preventivamente in ordine alla progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa della scuola che intende frequentare.
La norma succitata non fa però divieto alle scuole di apportare, prima dell'inizio dell'anno scolastico di riferimento, eventuali modifiche al POF e di portarle a conoscenza degli alunni, i quali, per poter partecipare all'innovazione, debbono esprimere il proprio consenso, unitamente a quello delle rispettive famiglie.
Né appare fondata l'affermazione secondo cui la sperimentazione parziale "non trova supporto normativo in quanto il D. Lgs. 226/2005 si riferisce a sperimentazioni del nuovo ordinamento e non sul nuovo ordinamento evidenziando la volontà del legislatore di attuare, ove ne sussistessero i presupposti, sperimentazioni dei nuovi impianti liceali nella loro inscindibile integralità".
In effetti tale affermazione poggia su un mero artificio terminologico ("sperimentazione del nuovo ordinamento" e "sperimentazione sul nuovo ordinamento") dal quale non è dato di evincere, sia sul piano letterale che su quello logico alcuna volontà del legislatore di attuare .... "sperimentazioni dei nuovi impianti liceali nella loro inscindibile integralità".
La verità è che il progetto di innovazione che si intende promuovere col D.M. 775/2006 trova piena consonanza con la sperimentazione di cui all'art. 27, comma 4 del D. Lgs. 226/2005, nonché con l'art. 11 del D.P.R. 275/1999 che, come è noto, consente al MIUR di promuovere "progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti ad esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l'integrazione tra i sistemi formativi e i processi di continuità e orientamento".
In tale quadro normativo di riferimento le sperimentazioni parziali debbono rispondere ovviamente a criteri di coerenza e compiutezza sul piano didattico, pedagogico e strutturale.
Ma tale apprezzamento non può che competere alle singole istituzioni scolastiche, che, nella propria autonomia, valutano quale estensione dare all'innovazione, tenuto conto del preminente interesse degli alunni e delle risorse disponibili.
Dal canto suo questo Ministero è ben consapevole del suo compito istituzionale di garante della validità e dell'efficacia dei curricoli e dei percorsi formativi, della centralità degli alunni, della regolarità dei passaggi dal "vecchio al nuovo", delle compatibilità tra i due sistemi.
Quanto al timore di ingestibilità degli esami conclusivi del secondo ciclo, è appena il caso di fornire ogni assicurazione da parte del MIUR che da anni organizza gli esami di Stato nei due grandi filoni dell'attuale sistema educativo italiano: quello di ordinamento e quello sperimentale.
Quanto al rilievo secondo cui "la verifica delle condizioni di fattibilità (non espressa nel decreto) e il principio di autorizzazione contrastano con l'autonomia riconosciuta alle scuole", va sottolineato che il Direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale non verifica le condizioni di fattibilità, sotto il profilo didattico-metodologico, del progetto presentato dalle istituzioni scolastiche. Il Direttore provvede invece agli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 5 del decreto 775/2006, stante la necessità di verificare preventivamente il rispetto della distribuzione territoriale dell'offerta formativa e di programmare gli interventi a sostegno dei progetti di innovazione.
Tale verifica, peraltro, è finalizzata alla individuazione di eventuali indisponibilità di risorse e di personale aggiuntivo che renderebbero inapplicabile e velleitario il progetto di innovazione.
Va inoltre aggiunto che, ai sensi dell'art. 5, comma 3 del decreto 775/2006, il Direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale assicura le risorse disponibili alle scuole che ne abbiano fatto richiesta, anche se spetta alle istituzioni scolastiche medesime valutare se le risorse disponibili siano sufficienti ad assicurare la realizzazione del progetto.
Gli interventi necessari per corrispondere alle eventuali maggiori necessità di risorse umane e professionali saranno, ovviamente, definite in sede di determinazione dell'organico di fatto, così come, del resto, è già avvenuto per far fronte ai maggiori fabbisogni legati all'attivazione della riforma del primo ciclo di istruzione. A tali interventi andranno, poi, ad aggiungersi finanziamenti specifici desunti dalla legge 440 del 1997.
Nell'inviare cordiali saluti, desidero informarti che, al fine di fornire ulteriori elementi di chiarezza e rassicurazioni ai soggetti destinatari del progetto di innovazione, ritengo opportuno trasmettere copia della presente nota ai Direttori generali degli Uffici Scolastici regionali.

Il Ministro
Letizia Moratti